lunedì 7 luglio 2008

Space voyage

"Non alludo semplicemente ad un disagio rispetto a quanto mi trovo intorno o di fronte, ma semplicemente a un dolore esistenziale che mi fa chiedere se valga la pena continuare." sussurrò il Capitano, senza distogliere lo sguardo dal visore di prua che continuava a trasmettere l'incessante variare degli ammassi stellari, mentre l'Aurora scivolava con incoscienza nel vuoto iperspaziale tra Terra e Mare, terzo pianeta del secondo sistema stellare a destra della costellazione della Bilancia. "Nel momento in cui non c'è speranza nella possibilità che la rotta cambi, non c'è alcuno stimolo al divenire materiale o allo sviluppo orizzontale della prospettiva. Se si è arrivati alla fine del viaggio e la destinazione non piace, nell'impossibilità di ripartire, tanto vale affogare." Il tempo nell'iperspazio è del tutto indipendente dalla gravità, così gli sforzi che il Nostromo aveva fatto per dimagrire si erano rivelati vani non appena superato Rigel IV. L'unica donna a bordo si chiamava Hope. Al Capitano era stato proibito anche solo di immaginarne il colore dei capelli. Il Nostromo pensava fossero biondo-verdi come quelli di sua nonna. Ad Hope, dal canto suo, bastava immaginare di sedurre il drone industriale che con il suo trapano a percussione fissava in successione i perni che le vibrazioni del viaggio iperspaziale tendevano a fare uscire dai loro orifizi metallici. Adorava il suo elmo cromato d'azzurro. Accarezzando il cavo d'accompagnamento del drone, non poteva fare a meno di provare nostalgia di casa. Il Capitano sospirò, mentre il collo del Nostromo si spezzava per l'accellerazione improvvisa ed il drone sintetizzava: "Foglie Morte." I capelli di Hope non erano biondo-verdi o almeno non più.

Sei secoli dopo, su Mare, un dinodoploco alzò una delle sue dodici antenne visive dalla sabbia, disturbato dall'ultimo frammento dell'Aurora che bruciava nell'atmosfera con un fastidioso sibilo insonoramente sordo.

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