my week ends here/my weakness begins here
God please, help me up from the sofa
I'm tired to invent excuses
venerdì 31 agosto 2007
giovedì 30 agosto 2007
Tesi
Per attuare l’applicazione del sistema di gestione integrato si rende necessario individuare una completa disarticolazione di funzioni prona alla metamorfosi in ente agente ovvero superfacente.Salutando la redazione di hub pitargonici e di velodri huiternarii si accetta securmente un violitico tabbernuglio. Ed il vento incoraggia la tempesta. Avendo di paragone, tra agone e arpagone, un fattone importante si consiglia di piantare il dimenamento ossessivo del can per l’aia e dedicarsi con maggior profitto ad attività di maggior necessità sociale e materiale. La cronica e naturale decrescita demoscopica rilevata tra i maggiori di anni tredici e le ragazze di anni sedici dimostra come più carne si mostra, più il desiderio tende a crescere e lo stupro si fa arte. La violenza intellettuale assecondata dalle tenere carni esposte delle fanciulle aggrada a determinate elites cattolico massoniche impegnate da decenni a tutelare l’accrescere costante del numero di embrioni. Se tale numero è stato visto rattrappirsi col correre degli anni il fatto è correlato con crescente certezza al crescere irsuto di peluria tra le gambe di adolescenti che altresì andrebbero accuratamente rasate. Epilazione radicale e perenne uguale più figli. Contattate le figliole dei vicini compiacenti e controllate il corretto recepimento della morale corrente, potendo, qualora se ne scorga l’opportunità, approfittare per garantire la corretta applicazione dell’abuso nei confronti delle giovini imberbi. Anche se e talvolta sconsigliato in presenza di apparecchi odontoiatrici particolarmente acuminati, la soddisfazione orale di determinate pulsioni tra i meno adatti alla riproduzione a causa di tare genetiche e telegeniche, potrebbe essere più adatta allo sviluppo morale ed intellettuale della razza umana nel medio e lungo politico. Talora alcuni potrebbero sentirsi offesi dall’esplicamento anale di funzioni primarie, così lo scrivente tende a dissuadere il lettore dal procurarsi piacere in tal modo a meno che il soggetto dell’attenzione riproduttiva non incoraggi esplicitamente il lasciarsi andare a comportamenti che superano il normale oggetto di libidine.
il Dottor Castrovalva/2
Castrovalva viveva in uno specchio. Tutte le superfici del suo appartamento erano lucidate con cura maniacale dalla sua domestica nubiana. La ragazza mi aveva squadrato da testa a piedi quando mi aveva aperta la porta. Non portavo orologio, la mia t-shirt era di un blu ordinario un poco stinto, nessun muscolo, nessun tatuaggio, la cintura che neache sapevo d'averla, scarpe da tennis un poco lise, jeans pallidi di taglio classico, niente strappi. Aveva voltato le spalle senza neanche fare cenno d'accomodarmi. Dietro gli occhiali da sole D&G sapevo che due occhi azzurri mi avevano giudicato inutile. Castrovalva mi aveva fatto cenno di raggiungerlo in biblioteca. "Deve avere un fastidio agli occhi, credo." Non aveva riconosciuto uno dei segni che identificano un clone. In fondo era la sua unica figlia.
mercoledì 29 agosto 2007
Critical Mass
Massa critica di biciclette
Appuntamento 29 Agosto ore 18:00 sotto le Torri del Brandale
Appuntamento 29 Agosto ore 18:00 sotto le Torri del Brandale
Il Dottor Castrovalva /1
Il dottor Castrovalva abitava a due porte dalla mia, dall’altro capo della Città, dieci anni fa. La cosa di lui che mi ha sempre affascinato era la biblioteca, buia anche a mezzogiorno, malgrado le tante vetrate. Castrovalva aveva una teoria: alla Fine del Tempo la diversificazione tra gli individui tende ad annullarsi, tutto tende ad amalgamarsi, tutti si omologano ad un tipo, l’interiore coincide con l’esteriore. Se non ti annulli, ti amalgami, ti omologhi e sei esteriormente inadatto ad essere stereotipato, sei condannato all’esclusione, alla solitudine, all’inappagamento, alla vita “anormale”, all’infelicità. Renditene conto, ed avrai perso anche la serenità. Calstrovalva non si era accorto, però, che sua figlia era un clone.
martedì 28 agosto 2007
Segue da sotto (anche se mesi dopo): Doctor Who
L'epifania di cui al punto precedente, frammento di una lettera non spedita, si riferiva a "Ark in space", dalla prima stagione di Tom Baker come Doctor. Avevo acquistato il DVD e pochi minuti di visione...
a claudia 3 o 1 bis
Domenica ho conosciuto un momento topico-epifanico-catartico. L’antefatto si svolge tanto tempo fa, i capelli a caschetto, le zampe di elefante e, ci si creda o meno, una magrezza preoccupante. Era alla fine degli anni settanta oppure il 1980. Doveva essere un weekend oppure un pomeriggio senza scuola (all’epoca frequentavo le scuole delle suore e mi fermavo lì a mangiare e poi a giocare al pomeriggio) ed ero a casa di una delle nonne, non mi ricordo quale, e di fatto non è un’informazione fondamentale ai fini del ricordo. La materia del ricordo proviene da uno schermo televisivo. Una massa che si rimpicciolisce sino a scomparire, persone che entrano in una “cabina telefonica” che scompare, la stessa cabina che si materializza in uno spazio bianco e asettico, corridoi bianchi e persone con tute bianche. Uno di questi ultimi tiene sempre una mano in tasca e quanto la tira fuori… è ricoperta da un’inquietante schiuma verde e bianca che nasconde un qualcosa di chitinoso. Stop. Il resto alla prossima puntata. Che non riuscirò a vedere o non sarà messa in onda, ovvero non riuscii a vedere o non fu messa in onda. Nel ricordo rimane una faccia terrorizzata di una persona che sta mutando, quella mano, quella schiuma, e lo nascondendo agli altri. Un qualcosa d’irrisolto. Un senso d’incompiutezza.Ho cercato negli anni successivi di attribuire quei ricordi ad un programma preciso. Nella seconda metà degli anni ’80 pensavo fosse un serial BBC e al successivo film Hammer “L’esperimento del dr. Quatermass”. Ho poi scoperto di sbagliarmi (tra parentesi: sono entrambi in bianco e nero, degli anni 50 ed il serial lo trasmettevano in diretta senza registrarlo). Poi più nulla. Ogni tanto mi tornava in mente, sospiravo e facevo spallucce. Un ricordo, confuso, dell’infanzia. Uno dei pochi, peraltro.
A Claudia 2
Il giorno sta passando lentamente, un minuto si accatasta sull’altro, materia del fuoco, il tempo che non brucia, ma scivola freddo, la corrente placida di un fiume che si allarga per diventare lago, una nebbia umida che accarezza le rive circondate di salici, un unicorno morente, il manto bianco screziato di rosso, ed un cacciatore attonito. Tante volte mi è venuta voglia di scrivere, e qualche volta l’ho fatto. Ma quegli sterili abbozzi, che sorridevano maligni o piangevano compiaciuti, non hanno raggiunto quella soglia che avrebbe giustificato il loro completamento e la loro finalizzazione. Sono rimasti lì, note impotenti di inutili momenti di egotismo. Puoi non leggere quanto segue, o non aver letto quanto precede, non importa, non mi offendo, insensati barocchismi. Il mio problema attuale è che, pian piano, sto perdendo il controllo. Ci sono a volte momenti in cui il dolore che provoca il demone aggrappato al mio cuore si rende manifesto. Non riesco a ricordare quello che mi si dice, inizio a balbettare o non riesco a parlare. Sono solo momenti, ma soprattutto la balbuzie e l’afasia si presentano sempre più spesso. E’ il trionfo della confusione mentale. E’ l’inizio o l’indizio della follia. E’ quello di cui ho più paura: la coscienza della pazzia. Perché ho spesso pensato che perdere il controllo di sé senza rendersene conto, scivolare nell’antro pieno di specchi dell’alterazione mentale, non fosse un male di cui ci si potesse in fondo lamentare. Ovviamente sarebbe un inferno per chi ci sta intorno, ma dal punto di vista egoistico ed individuale essere un Napoleone felice è meglio che essere un tipo che ha le aspirazioni di Napoleone, lo stesso malore di stomaco, una passione per donne, marmi e cavalli, ma al tempo stesso sa di non essere Napoleone e non avere assolutamente le forze o i mezzi per conquistare l’Europa e per imprigionare il Papa nel Priamar. Non è la pazzia a fare paura, ma, appunto la coscienza di essa.
Mi sembra sempre più difficile indossare la maschera di allegra spensieratezza che alcuni mi vedono così bene addosso. Invece mi importa, invece soffro, invece accuso i colpi, e situazioni anche lontane da me mi fanno stare male. E’ la barriera che mi ha separato per così tanto tempo dal reale che si è dissolta, e quello che avevo intuito mentre stavo al di qua (quelle crisi anche violente, ed una violentissima) lo trovo pari pari di là. La mancanza di Senso. Basta: troppe chiacchere, troppi concetti. Un ultimo.
C’è una parola di particolare fascino espressivo nel vocabolario inglese: longing. Si può tradurre come nostalgia, ma non rende del tutto il significato. E’ una strana sensazione, a dire il vero. L’ateo CS Lewis provava un senso di longing che non comprendeva fino a che non ha realizzato che questo era indirizzato verso la dimora celeste, il Cielo. Se provo quella determinata sensazione, longing, si disse, allora Dio esiste, perché io tendo ad esso e non potrei tendere a qualcosa che non esiste… Certo, in questo caso potrebbe tradursi anche nostalgia, oppure no? All’idea di casa o patria o famiglia (home) si associa spesso anche l’appartenenza (belonging to). Di nuovo quella radice long. Long è anche lungo, lungo come un viaggio, long journey, come un drink, long dring. E quel suono liquido ed al contempo pieno… Ma non è questo il punto. Longing. –nostalgia come tensione verso un qualcosa che non si ha, ma una tensione non rabbiosa bensì malinconica ed impotente. Tensione per un qualcosa che esiste ma che è ogni volta dietro l’angolo, è sempre oltre la linea dell’orizzonte, meta alla fine della via.
Boh, non importa. Comunque.
Mi sembra sempre più difficile indossare la maschera di allegra spensieratezza che alcuni mi vedono così bene addosso. Invece mi importa, invece soffro, invece accuso i colpi, e situazioni anche lontane da me mi fanno stare male. E’ la barriera che mi ha separato per così tanto tempo dal reale che si è dissolta, e quello che avevo intuito mentre stavo al di qua (quelle crisi anche violente, ed una violentissima) lo trovo pari pari di là. La mancanza di Senso. Basta: troppe chiacchere, troppi concetti. Un ultimo.
C’è una parola di particolare fascino espressivo nel vocabolario inglese: longing. Si può tradurre come nostalgia, ma non rende del tutto il significato. E’ una strana sensazione, a dire il vero. L’ateo CS Lewis provava un senso di longing che non comprendeva fino a che non ha realizzato che questo era indirizzato verso la dimora celeste, il Cielo. Se provo quella determinata sensazione, longing, si disse, allora Dio esiste, perché io tendo ad esso e non potrei tendere a qualcosa che non esiste… Certo, in questo caso potrebbe tradursi anche nostalgia, oppure no? All’idea di casa o patria o famiglia (home) si associa spesso anche l’appartenenza (belonging to). Di nuovo quella radice long. Long è anche lungo, lungo come un viaggio, long journey, come un drink, long dring. E quel suono liquido ed al contempo pieno… Ma non è questo il punto. Longing. –nostalgia come tensione verso un qualcosa che non si ha, ma una tensione non rabbiosa bensì malinconica ed impotente. Tensione per un qualcosa che esiste ma che è ogni volta dietro l’angolo, è sempre oltre la linea dell’orizzonte, meta alla fine della via.
Boh, non importa. Comunque.
A Claudia
Provo, tanto per cambiare, questo mezzo di comunicazione. Anche se comprendo come possa risultare estremamente imbarazzante scrivere quanto segue, proverò a farlo comunque. Non riesco a parlarti direttamente, non riesco a mettere una parola accanto all’altra per esprimere anche la più stupida banalità. Mi perdo in una specie di strana contemplazione della tua divinità e di acuta consapevolezza della mia inettitudine.
Ultimamente, proprio tale coscienza di non essere in grado di vivere una vita completa, accanto all’insicurezza per il mio futuro lavorativo e ai cambiamenti inevitabili nella routine domestica, (accanto: non ‘unita’ oppure ‘insieme’, perché quantomeno riesco a mantenere questa particolare schizofrenia funzionale che mi fa reagire in modo diverso in contesti differenti), mi hanno portato a contemplare con compassione l’Abisso.
In condizioni normali tra me e l’Abisso c’è un filtro razionale, un distacco clinico e cinico, che mi permette di non soffrire (troppo).
Mi ero ripromesso, scrivendo queste insensate righe, di non comporre frasi lunghe farcite di incisi e di non ricorrere a simboli. Poche parole ed eccomi a non aver rispettato le regole.
Mi spiego: l’espressione “contemplare l’Abisso” solitamente viene associata a pulsioni suicide, ma io ho preso ad utilizzarla come sinonimo di arrendersi al Non Senso, quel particolare insieme di conseguenze ai dati di fatto che si determinano senza particolare ragione (casualità storiche, sociali, genetiche), ma che al contempo si configurano come necessarie e perciò inevitabili. Non so quanto questa spiegazione sia chiara. Uno si comincia a chiedere se ‘contemplare con compassione l’abisso’ non esprimesse già pienamente un significato, o anche se solo un meta-significato non fosse già auto-sufficiente…
Un esempio: ho visto un servizio tv su ‘L’amico di famiglia’ di Sorrentino. L’attore protagonista ha detto una cosa simile ad un certo punto: “Dio, bontà sua, mi ha fatto così: brutto. Io non mi vedo così: so di non essere bello ma non mi vedo particolarmente brutto. Io ed il mio personaggio nasciamo sconfitti non per colpa nostra.” Togli Dio e il concetto di colpa ed in nuce hai una cosa che avrei potuto dire io pari pari.
Perché poi ti scriva queste cose, mi viene in mente adesso, e ti chiedo di perdonare questo mio delirio, (ed avevo promesso di limitare gli incisi), potrebbe sembrare che sia per ottenere risposte del tipo: ma no, non fare così, esiste anche per te la possibilità di essere felice, da qualche parte, in qualche luogo, ma non qui, non adesso, domani, attendi, domani. La promessa del Paradiso. La grande consolazione. L’illusione.
No. Non c’è bisogno di inutilità del genere, e se ti fa piacere saperlo anche il solo scrivere queste cose che sto scrivendo, (scrissi), ha una valenza terapeutica per l’anima. I Sentimenti si sfogano negli inutili barocchismi marinisti e lasciano che ogni tanto sia la Ragione a illuminare il mondo.
Non lo so, sono in pausa pranzo e ho perso il punto. Ieri è nato il figlio di mia sorella e non ho cenato. Ed è meglio che vada a mangiare qualcosina.
Magari il punto è tutto qui: volevo solo sperimentare questo tipo di comunicazione.
Ultimamente, proprio tale coscienza di non essere in grado di vivere una vita completa, accanto all’insicurezza per il mio futuro lavorativo e ai cambiamenti inevitabili nella routine domestica, (accanto: non ‘unita’ oppure ‘insieme’, perché quantomeno riesco a mantenere questa particolare schizofrenia funzionale che mi fa reagire in modo diverso in contesti differenti), mi hanno portato a contemplare con compassione l’Abisso.
In condizioni normali tra me e l’Abisso c’è un filtro razionale, un distacco clinico e cinico, che mi permette di non soffrire (troppo).
Mi ero ripromesso, scrivendo queste insensate righe, di non comporre frasi lunghe farcite di incisi e di non ricorrere a simboli. Poche parole ed eccomi a non aver rispettato le regole.
Mi spiego: l’espressione “contemplare l’Abisso” solitamente viene associata a pulsioni suicide, ma io ho preso ad utilizzarla come sinonimo di arrendersi al Non Senso, quel particolare insieme di conseguenze ai dati di fatto che si determinano senza particolare ragione (casualità storiche, sociali, genetiche), ma che al contempo si configurano come necessarie e perciò inevitabili. Non so quanto questa spiegazione sia chiara. Uno si comincia a chiedere se ‘contemplare con compassione l’abisso’ non esprimesse già pienamente un significato, o anche se solo un meta-significato non fosse già auto-sufficiente…
Un esempio: ho visto un servizio tv su ‘L’amico di famiglia’ di Sorrentino. L’attore protagonista ha detto una cosa simile ad un certo punto: “Dio, bontà sua, mi ha fatto così: brutto. Io non mi vedo così: so di non essere bello ma non mi vedo particolarmente brutto. Io ed il mio personaggio nasciamo sconfitti non per colpa nostra.” Togli Dio e il concetto di colpa ed in nuce hai una cosa che avrei potuto dire io pari pari.
Perché poi ti scriva queste cose, mi viene in mente adesso, e ti chiedo di perdonare questo mio delirio, (ed avevo promesso di limitare gli incisi), potrebbe sembrare che sia per ottenere risposte del tipo: ma no, non fare così, esiste anche per te la possibilità di essere felice, da qualche parte, in qualche luogo, ma non qui, non adesso, domani, attendi, domani. La promessa del Paradiso. La grande consolazione. L’illusione.
No. Non c’è bisogno di inutilità del genere, e se ti fa piacere saperlo anche il solo scrivere queste cose che sto scrivendo, (scrissi), ha una valenza terapeutica per l’anima. I Sentimenti si sfogano negli inutili barocchismi marinisti e lasciano che ogni tanto sia la Ragione a illuminare il mondo.
Non lo so, sono in pausa pranzo e ho perso il punto. Ieri è nato il figlio di mia sorella e non ho cenato. Ed è meglio che vada a mangiare qualcosina.
Magari il punto è tutto qui: volevo solo sperimentare questo tipo di comunicazione.
Maledetti cloni!!!!
Maledetti cloni!
Non credevo sarei arrivato a vedere nel corso della mia vita il realizzarsi delle più cupe e disperate profezie del Dottor Castrovalva. Non sognavo neppure lontanamente di trovarmi di fronte il confine ultimo della Fine del Tempo. Eppure…
Eppure eccomi qui, lontano dalla Città, dai suoi vicoli putridi e dai suoi quais infestati dai cloni, a consumarmi gli occhi scrivendo queste righe sotto la pallida luce di un paralume schermato. A dare testimonianza. Inutile, autorefenziale, sterile documentazione per l’umanità che popolerà il domani, perché sia avvertita dell’inevitabile, perché sia preparata fino dai suoi albori all’estinzione finale, ai cloni ed alla Fine del Tempo. Sempre che vi sia un’umanità domani, che i cloni non siano ricomparsi per rimanere. Per l’Eternità oltre la Fine del Tempo.
In questo caso, il mio lettore sarà un clone. Ed allora, clone lettore,a Te mi rivolgo, a Te che, a questo punto, con il Tuo amorale ghigno indifferente, Ti starai chiedendo come abbia fatto ad accorgermi di Voi, a rendermi conto della Vostra infiltrazione insidiosa tra noi, di come abbiate occupato le nostre case, le nostre città, le nostre strade.Io mi sono allontanato dal consesso umano, o da quel poco che di esso dovrebbe essere sopravvissuto, per ritirarmi a vivere in mezzo ai boschi, senza quei conforti che per Voi cloni sono così indispensabili, e prepararmi in solitudine alla Fine del Tempo. Mi sono sottratto ai Vostri sguardi beffardi e maligni, alle Vostre carezze e lusinghe, ai Vostri schiaffi ed insulti, riconoscendoVi per quello che siete: i cloni profetizzati da Castrovalva, araldi della Fine del Tempo!
Non credevo sarei arrivato a vedere nel corso della mia vita il realizzarsi delle più cupe e disperate profezie del Dottor Castrovalva. Non sognavo neppure lontanamente di trovarmi di fronte il confine ultimo della Fine del Tempo. Eppure…
Eppure eccomi qui, lontano dalla Città, dai suoi vicoli putridi e dai suoi quais infestati dai cloni, a consumarmi gli occhi scrivendo queste righe sotto la pallida luce di un paralume schermato. A dare testimonianza. Inutile, autorefenziale, sterile documentazione per l’umanità che popolerà il domani, perché sia avvertita dell’inevitabile, perché sia preparata fino dai suoi albori all’estinzione finale, ai cloni ed alla Fine del Tempo. Sempre che vi sia un’umanità domani, che i cloni non siano ricomparsi per rimanere. Per l’Eternità oltre la Fine del Tempo.
In questo caso, il mio lettore sarà un clone. Ed allora, clone lettore,a Te mi rivolgo, a Te che, a questo punto, con il Tuo amorale ghigno indifferente, Ti starai chiedendo come abbia fatto ad accorgermi di Voi, a rendermi conto della Vostra infiltrazione insidiosa tra noi, di come abbiate occupato le nostre case, le nostre città, le nostre strade.Io mi sono allontanato dal consesso umano, o da quel poco che di esso dovrebbe essere sopravvissuto, per ritirarmi a vivere in mezzo ai boschi, senza quei conforti che per Voi cloni sono così indispensabili, e prepararmi in solitudine alla Fine del Tempo. Mi sono sottratto ai Vostri sguardi beffardi e maligni, alle Vostre carezze e lusinghe, ai Vostri schiaffi ed insulti, riconoscendoVi per quello che siete: i cloni profetizzati da Castrovalva, araldi della Fine del Tempo!
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