C’è stato un tempo in cui ero capace di scrivere in modo comprensibile, allegro e gradevole. Con un buon numero di parole potevo, ad esempio, descrivere in termini realistici una giornata. Mentre ora tendo ad essere sintetico, esoterico, e, in mancanza di un termine che riesca a descrivere in maniera più appropriata lo stile che tendo ad usare, opaco. Perché non riesco più a ritrovare quel distacco che sarebbe necessario a trasformare la vita che mi circonda in un quadro variopinto di parole e punteggiatura.
Per caso, pochi minuti fa, ho ritrovato un file in cui descrivevo una gita in montagna. Non mi ricordavo neppure di averlo scritto e, da principio, mi sono chiesto chi ne fosse l’autore. Continuando a leggere ho ritrovato alcuni accenni che non potevano che indicare che proprio io ne fossi l’autore.
Ho sentito parlare di farmaci che fanno perdere selettivamente la memoria, come la pillola di Torchwood. Se non l’ho già presa, mi piacerebbe provarla. Anche se, come dice quella poesia sulla reincarnazione, le ultime parole ad ogni mia morte sono state una bestemmia.Mi piacerebbe, a questo punto, fare una cosa che non ho mai fatto: iniziare a tenere un diario che registri i fatti, che li racconti, che li oggettivizzi, cristallizzati al di fuori di me. Magari nel modo più semplice. Soggetto, verbo, complemento se serve. E solo qualche commento e qualche a parte di rinforzo. Ma so già che mi perderò anche in questo proposito. Non lascerò nulla diero di me che incomprensibili parole. Se la chiave ultimamente sono un pugno di canzoni di Robert Calvert, domani o ieri le fonti cono talmente oscure o autoreferenziali che anch’io, a volte, mi ci perdo.
Per caso, pochi minuti fa, ho ritrovato un file in cui descrivevo una gita in montagna. Non mi ricordavo neppure di averlo scritto e, da principio, mi sono chiesto chi ne fosse l’autore. Continuando a leggere ho ritrovato alcuni accenni che non potevano che indicare che proprio io ne fossi l’autore.
Ho sentito parlare di farmaci che fanno perdere selettivamente la memoria, come la pillola di Torchwood. Se non l’ho già presa, mi piacerebbe provarla. Anche se, come dice quella poesia sulla reincarnazione, le ultime parole ad ogni mia morte sono state una bestemmia.Mi piacerebbe, a questo punto, fare una cosa che non ho mai fatto: iniziare a tenere un diario che registri i fatti, che li racconti, che li oggettivizzi, cristallizzati al di fuori di me. Magari nel modo più semplice. Soggetto, verbo, complemento se serve. E solo qualche commento e qualche a parte di rinforzo. Ma so già che mi perderò anche in questo proposito. Non lascerò nulla diero di me che incomprensibili parole. Se la chiave ultimamente sono un pugno di canzoni di Robert Calvert, domani o ieri le fonti cono talmente oscure o autoreferenziali che anch’io, a volte, mi ci perdo.
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